mercoledì 26 maggio 2010

La ragazza che dormiva con Dostoevskij.

Per formazione o deformazione faccio molta fatica a credere alle promesse di un paradiso per gli umani dopo la fine dell’esperienza terrena. Anche perché, forse, nessuno, me compreso, se lo meriterebbe. Molta meno fatica mi costa credere a un paradiso per gli animali e per i felini in particolare. Mi immagino divani lunghi chilometri, infinite scatole e armadi dove nascondersi, alberi e poltrone in pelle della mamma da scorticare e miglia di spaghi, corde da ingarbugliare, mosconi da schiacciare sui vetri, milioni di passeri a cui staccare la testa e lucertole a iosa a cui ricordare che la coda è caduca (naturalmente sia ai passeri che alle lucertole tutto ricrescerebbe immediatamente e senza dolore: siamo pur sempre in paradiso).

E poi ancora file infinite di scarpe in cui rigurgitare l’amalgama di croccantini al pesce di cui traboccano le piscine sparse sulle nuvole e finalmente ossa di pollo che non bucano lo stomaco e centinaia di matite e penne da far cadere da altrettante scrivanie e ancora lettiere senza bordi da cui lanciare con gioia quintali di affusolati stronzi appena fatti... ma soprattutto: tanto sole e tanto tanto far niente, niente di niente, per ricordare a chi passa di lì che si vive bene e molto anche senza fare proprio nulla.




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