martedì 11 marzo 2008

Uno che c'ha il senso del gusto e pure qualcos'altro...



Avrei voluto postare la mia enciclica su “Il relativismo e Walker Texas Ranger”, ma devo posporla in quanto altre vicende mi hanno mosso la voglia di dire la mia. Superfluo affermare che dopo tale tomo nulla sarà più come prima e quindi per coloro che sono affezionati a questo mondo è una fortuna che non l'abbia ancora pubblicata. Ciò di cui invece parlerò oggi ha in effetti più a che fare con gli integrati e i  non integrati o i disintegra(nt)i.
 
Da quando ho passato la boa dei 30 il mio tempo di vita ha assunto un valore inversamente proporzionale al presunto tempo residuo in costante diminuzione. Così faccio sempre più fatica a sorbirmi dei film che superino i meravigliosi 85 minuti. Anche perché in effetti non esiste film per cui valga la pena bruciare più di 85 minuti della propria unica vita a meno che il regista non faccia di nome Stanley, Sergio o David (nel senso di Lean). Per cui quando un film supera la fatale soglia o addirittura la doppia io verifico proprio bene bene il nome del regista e se questo non coincide con la triade citata i miei pregiudizi salgono fino a frenarmi nella visione.

E' un ragionamento del cazzo, ma nessuno qui sta sostenendo che sto invecchiando bene. Pochi invecchiano bene e io dubito di essere tra questi.

160 minuti. E il tuo nome è Sean. Ok Sean convincimi che ho fatto bene a uscire a prendermi la pioggia in una Milano nera come il nulla. Diciamolo. Potevi tenerlo sui 120-130. 85 no, ok. Però ho fatto bene a prendermi la pioggia in una Milano bla bla...

Perché Sean hai fatto proprio un bel film sotto tanti punti di vista. Il primo riguarda l'occhio. Hai gusto Sean e sembra una banalità dirlo per quanto riguarda un regista, ma il gusto è un bel pezzo dell'essere registi. Come diavolo metti la camera, cosa decidi di riprendere e cosa no fa una bella differenza. Non è scontato. E' carne e pelle della storia e di come la racconti. E Sean la mette bene sta camera. Fa un bel servizio a tutti gli attori. Li tratta bene. E' gentile. Tanto per non fare paragoni prendiamo Caos Calmo di Antonello. Ecco uno che ha per le mani una storia non male, un attore azzeccato, ma poi mi mette la camera (dove per camera si intende anche luci etc.) come se stesse girando La squadra 5. Non ho detto Montalbano, perché lì la camera è messa molto bene. La squadra 5. Non è un fatto di cinema o tv. Lì forse dipende dal produttore. Perché se come produttore hai Bryan Singer (Dr. House) allora vedrai che il regista sa come mettere la camera. Certo il gusto non te lo insegna nessuno. Anche a seguire la grammatica della regia alla perfezione il gusto rimane istinto. Arte. Qualcosa tra il genetico e il metafisico. E io mi ricordo ancora molto bene di come hai reso, Sean, quella scena de “La promessa” in cui Jack sta in mezzo al suo party d'addio, ma capisce che il suo addio sarà di tutt'altro genere. Meravigliosa. Una fantastica ouverture che come nella tradizione operistica contiene già tutto il resto del melodramma anticipandone la melodia. 'Sti americani ci fottono pure sul melodramma che abbiamo inventato noi. Assurdo. Musica per gli occhi.

Bene Sean, solo per questa spataffiata dovrei avere un posto al tuo fianco nel prossimo film, se non altro nella parte di Leccaculo Ufficiale. Il fatto è che il tuo film è anche giusto. Nel senso di esatto, ma anche di giustizia. Non vorrei dire nulla della storia perché il non sapere nulla mi ha fatto felice, ma inevitabilmente qualcosa mi scapperà. In generale ho capito che è meglio astenersi da letture di trame e opinioni di qualsiasi film e preservarsi la sorpresa il più possibile. Anche dai trailer bisognerebbe sottrarsi e ancora di più dalla lettura del libro prima del film. Quindi se non avete ancora visto “Into the wild” non leggete oltre.

E' stato curioso ritrovarsi di fronte a un tema già affrontato poco tempo fa da Werner (nel senso di Herzog) nel suo bellissimo film “Grizzly man” che da noi è passato stile cometa in quanto etichettato come documentario. Gli eroi sono simili, anche se quello di Herzog è molto più estremo, uno che ha già scavalcato da tempo la linea di fondo e che non ha neanche l'alibi dell'età. Difficile identificarsi con uno “stolto” simile che va a molestare gli orsi fino a finirne nella pancia. Gli orsi hanno apprezzato e aspettano altri idioti con la mascella aperta e l'unghia che indica la gola.

Eppure Herzog ed io con lui ne ha ammirato il coraggio delle scelte. Il coraggio che spesso coincide con la follia, con l'incapacità di relazionarsi con la realtà. Il coraggio per me è sempre da ammirare anche se la codardia non è sempre da biasimare come ci insegna Stanley in Orizzonti di gloria.

Anche nel caso di Into the wild hai deciso di parlare di un non integrato, o meglio di uno che sceglie di non rimanere integrato e la cosa bella è che ci hai fatto vedere un bel po' di possibilità che possono capitare ai non integrati. Si può diventare hippy (basso livello di non integrazione), si può vivere fuori dalla legge, si può diventare barboni, si può semplicemente diventare vecchi e soli oppure non diventarlo mai (massimo livello di non integrazione o disintegrazione).

Il tutto lontano dalla rassicurante società dei consumi bla bla di cui la maggior parte di noi fa parte, chi in maniera ottusamente entusiasta, chi in maniera rassegnata, chi perché è meglio di tutte le altre condizioni. Almeno finché ci sarà qualcosa da consumare, etc. etc. Non che avessimo bisogno del tuo film per renderci conto di come l'inseguire i soldi e circondarci di oggetti per la maggior parte inutili sia in effetti snaturante (allora il wild non è l'Alaska, ma solo la verità delle cose e delle persone). Però resta un film giusto perché alimenta quel poco di utopia che mi è rimasta, quell'ingenuità che esista un luogo dove essere felici veramente. Un uomo senza un briciolo di sogno è poco più di uno zombie, un non morto e non vivo, uno che a colazione legge il giornale per non guardarti in faccia.

Ritornando alle questioni di stile. Giusto per non chiudere in modo aulico. Notare come Sean trasporti il concetto di ingenuità attraverso movimenti di camera e trovate di montaggio anch'essi fanciulleschi. Sul principio ho pensato fosse una stronzata, poi l'ho trovata semplicemente fantastica. Bravo. Adesso sono assunto?

(Nella foto "into the right place", Sean mentre mette la camera nel posto giusto).

2 commenti:

  1. E bravo Ale!

    Hai messo in parole quello che io avevo appena abbozzato col pensiero.

    Dandomi per altro ulteriori spunti di osservazione, che il mio occhio

    poco registico non aveva colto, e approfondimenti altri

    ai quali la mia indole un po' troppo pragmatica non era arrivata

    fermandosi, forse perchè era la via più semplice e immediata, al protagonista.

    Che però ho amato perchè, a mio parere, così poco urlato, nonostante

    sia un film a parlarne, e così intimo, nonostante la sua aspirazione di assoluto.

    E mi sorprendo sai a dire queste cose, perchè è per me insolito

    ritrovarmi tollerante verso chi si vuole distinguere nell'estremo.

    E quindi bravo anche Sean, perchè mi cambia prospettiva, facendomi arrivare la scelta di Supertramp

    come intima, consapevole e (non dico coraggiosa

    perchè se no qualcuno si arrabbia) così poco sfacciata da non chiedere

    l'approvazione di nessuno.

    Ma, per quel che può valere, la mia, di approvazione, se l'è conquistata

    per quella delicatezza con cui non è richiesta.


    Ultima annotazione: colonna sonora strepitosa.


    baci,

    giada

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  2. a me ha proprio commosso

    al di là del parere 'cinematografico' che da semplice spettatrice non sono in grado di dare, mi è piaciuto..

    mi ha commossa come capita poche volte davanti allo schermo.

    Poi uno può dire quello che vuole sulla scelta di Christopher e su quello che ha fatto.

    Ma a me ha commosso lo stesso


    mad

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