martedì 11 settembre 2007

VOCE DEL VERBO SALTELLARE

I
eri è partita a Milano la panoramica sui film di Locarno e Venezia.

A parte il disappunto di non vedere in rassegna De Palma, Anderson e Allen, questa rassegna ha il pregio/difetto di mostrare cose che noi umani non vedremo mai in una sala.

Spesso non vedere mai qualcosa selezionata a Venezia è una dolce censura. Il capolavoro Uzbeko in cui un contadino ara per 15 ore un campo di pietrisco è un'esperienza impagabile di cui si può fare volentieri a meno. E l'ennesima tortura visiva di Amos Gitai va bene per l'intellettuale di sinistra a cui piacciono gli sport estremi come bersi il cervello con la cannuccia o fumare dalle orecchie.

Io che di intellettuale non ho niente e di sinistra mi è rimasto poco (l'ho scoperto quando ho accettato con entusiasmo prono tutto il serial televisivo “24”, simbolo della caduta totale delle speranze di avere un mondo migliore e giustificazionista al punto che D'Alema sembra, al confronto, un Turigliatto), dicevo per me che ho varcato la soglia della totale integrazione nel sistema e che ho scelto la pillola blu il migliore dei film possibili è oggi Hairspray. Ossia niente a che vedere con lo spirito di Venezia, ma un puro blockbuster americano.

Saltano, sgambettano, si rotolano e soprattutto strillano come pavoni per due ore filate in un'orgia di colori che sono un piacere (nostalgico) degli occhi e un comodo rifugio dei sensi in salsa kennediana. Per me che ho sempre apprezzato il trash-pop alla Pavarotti & Friends e la retorica dei Veltronians questo film è miele spalmato su un panino imburrato. Una bomba calorica di puro godimento con l'illusione che un fissante per capelli ci salverà.

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