
Ebbro di donne e di verdura.
Praticamente, tra una ripresa canicolare e una serie di richieste assurde di clienti (me ne faccia 200 copie – certo ma allora perché non 200mila scusi), ho pensato di usare i ritagli di un’esistenza per finire il famoso film sullo spazio. Termine che tendo a procrastinare con indeterminatezza per non sapere che razza di mappazza ne risulterà e così posporre il mio suicidio registico. Se ci si aggiunge che persino il mio socio stasera mi ha tirato il bidone per evitarmi un film cult come Kiashan (una cosa che mi riporta all’infanzia gioiosa passata per metà davanti a un grande televisore posto sul pavimento della mia camera intento a riprogrammarmi il cervello) si capisce che l’unica cosa da fare è finire sto fottuto film grazie al quale sto perdendo la vista a furia di seghe fatte nell’attesa che Effetti Postumi finisca di calcolare ogni frame del bastardo.
Lo odio e lo amo. Un po’ come quelle donne che non sopporti perché semplicemente Con stai abbastanza male, ma Senza staresti peggio. La verità è che ho più fifa a scegliere il prossimo argomento e perciò non finisco questo. Che se ripenso che il Sergio, nel senso di Leone, non riuscì a fare il film sull’assedio di Stalingrado dico che ognuno ci ha i suoi problemi in piccolo. Cioè il mio problema è che poi da questo marciume di neuroni escano cose orrende, nel senso del vero me che si spalma come burro su una sequenza di zeri e uno che poi tutti vedono violando la mia santissima privacy. Cioè qualcuno non mi venga a dire che la scena della fumeria d’oppio di “C’era una volta in America” non era autobiografica. Quella specie di divinità già pensava di mostrare la sua morte artistica e fisica come una specie di estasi oppiacea. Io, nel mio minimo, mi mangio una carota e bevo acqua plastificata a litri. Chissà che domani non ne esca qualcosa…
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