sabato 31 dicembre 2005

L'insostenibile leggerezza dei titoli di coda.

Per una banale congiuntura astrale mi trovo alla fine dell'anno a scrivere la parola fine sull'ultimo fotogramma dell'ultimo nostro film. In realtà, ancora molto è da fare, ma il girato complessivamente c'è. Ora si tratta di dargli un'anima, una voce, ma c'è. Il momento dei titoli di coda è sempre un po' emozionante perché si ha la consapevolezza che gran parte del lavoro è ormai passato definitivamente nell’etereo del ricordo, cioè qualcosa che non si può più toccare, ma solo rivivere in una proiezione mentale. La fase del montaggio è un ciclico ricordo e allo stesso tempo il momento del confronto tra l’idea originaria e la realtà fatta e finita. Una verifica di quanti anni luce stanno tra le due cose con diversi momenti di totale stupore per la vicinissima distanza tra pensiero e azione.



Scrivere i titoli di coda è sancire l’inizio del distacco in cui avverto una sorta di mesta allegria per qualcosa di compiuto e l’ignoto da compiere, la prossima avventura che inizierà un nuovo ciclo di nascita e trapasso. L’insopportabile sollievo che comporta lo scorrere di nomi e cognomi a cui si associano strane diciture o ruoli compongono geroglifici che nel nostro inconscio speriamo durino per sempre e qualcuno un giorno scoprirà sotto la sabbia del tempo per ridare a quegli spettri ancora un filo di vita.




Leggere i titoli di coda è come conoscere gli ingredienti della pozione che ho bevuto fino a quel momento.
Scrivere i titoli è come rivedere il film oltre lo spazio definito dell’inquadratura e salutare tutti quelli che si vedono e non si vedono. Ciao.


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